Maestri per il XXI secolo

a cura di
Danilo Breschi

Intervista a Francesco Zini

La sfida va presa sul serio e rappresenta sempre una chiamata antagonistica verso una contrapposizione, una battaglia o un combattimento; ma le sfide odierne sono composte sia da una componente di dis.fida, che una mancanza di fiducia.

A.  Quali sono, a suo avviso, le sfide cruciali che i restanti tre quarti del ventunesimo secolo porranno all’uomo, qui inteso nella sua accezione più ampia, al di là cioè delle specificità culturali nazionali che lo contraddistinguono (sempre che questa operazione di astrazione sia secondo Lei fattibile)? Oppure esistono sfide di carattere universale, valide per ogni latitudine del pianeta, e sfide particolari, legate a determinati contesti e a specifiche aree del mondo?

La sfida va presa sul serio e rappresenta sempre una chiamata antagonistica verso una contrapposizione, una battaglia o un combattimento; ma le sfide odierne sono composte sia da una componente di dis.fida1, che una mancanza di fiducia: un insieme di punti di rottura (points break) che creano un conflitto, che chiedono, per essere risolti, appunto di essere “sfidati”, chiariti e definiti. C’è un’immagine che rende effettiva l’idea dello scenario in cui siamo: quella dell’essere sull’orlo, inteso come bordo, margine, estremità, sponda, riva.

Siamo sull’orlo2: in quel limite di sopportazione sistemico al di là del quale appare l’abisso estropico, dove ogni distopia potrebbe accadere. Come è stato possibile? L’analisi semantica della sfida può aiutare, ma le vecchie categorie, i vecchi approcci e linguaggi sono datati e incapaci, soprattutto non riescono più a leggere la realtà, a contenere e comprendere la situazione attuale. Innanzitutto, ormai la sfida appare globale e “totale”, in un unico spazio continuo che coinvolge l’intera umanità in un incrocio di destini di popoli e nazioni interconnesse in un inarrestabile travaglio centripeto. Da questo punto di vista il progresso tecno.scientifico si presenta talmente veloce e repentino che ha “futurizzato” il “presente.mondo”. Non c’è dubbio che siamo nel mondo di oggi, come nessuna generazione precedente è stata.

Sappiamo tutto di tutti e abbiamo accesso alla conoscenza (open access) come alle relazioni, come agli spostamenti in maniera facile e immediata. Abbiamo “faberizzato” tutto ciò che l’homo faber attivo e produttivo, poteva costruire ad avere a disposizione, anche illudendosi o falsificando i suoi bisogni: abbiamo l’attesa e la promessa smarrita di poter fare tutto ciò che vogliamo, di essere chi vogliamo, quando vogliamo, come vogliamo. Un tale errore è mistificazione o un’autocompensazione?

Un tale inganno globale della bio.tecnica incorre inevitabilmente in alcune aporie e contraddizioni. Innanzitutto questo scenario interconnesso e mondialista, rimanda inevitabilmente alla domanda filosofica fondamentale (nel senso di fondativa) sull’uomo sul suo esserci “stagliato” nel mondo, al di là di dove si nasce o da chi si nasce. Emerge un uomo “nudificato”: l’uomo appare anche in questo crocevia storico “nudo”, di fronte alla sua condizione e al dovere di dare un senso al suo vivere. Non si può tornare indietro o guardare indietro per trovare risposte. Appare necessario un futurismo ontologico, “nuovo e innovativo”, fuzzy and wild, che crei in modo originale una filosofia dell’umano/post.umano, a partire dalla sua condizione di in.finitudine mortale. Di fronte a questa sfida ontologica, che riguarda l’essere stesso del suo stare.al.mondo, del senso del suo essere gettato e sradicato nel mondo e dal mondo, inizia la fioritura (flourisching) del seme di un “nuovo grande destino metafisico”3.

Ora di fronte a questa “sfida totale” e immensa, per certi versi decisiva e finale (perciò sfidante ed edificante), si uniscono la dimensione catafatica dell’essere con quella apofatica del mistero, l’uomo si ritrova sotto un definitivo: un “attacco mortale”.

Le distopie rivoluzionarie sono innumerevoli e svariate sia nell’appercezione soggettiva, sia nella crudezza realistica della stessa salute personale e ambientale: il probabile e possibile avvio di una terza guerra mondiale con armi atomiche, l’imminenza di una catastrofe ecologica, la crisi ambientale, i rischi di un’intelligenza artificiale generativa incontrollabile, l’antinatalismo radicale, la crisi demografica, il sadismo sociale con l’abuso di abitudini o stili di vita che danneggiano l’equilibrio psico.fisico, il divisionismo epistemologico, il formalismo giuridico, il negazionisimo complottista, le nuove rivoluzioni del lavoro, il separazionismo laicista4, l’ibridazione e l’annichilimento sterile del transumanesimo sintetico, le nuove soggettività artificiali cyborg, l’animalismo antispecista, il “solismo” identitario dello ius sanguinis, i nuovi pomeri nazionalistici o nomofilattici, lo scientismo riduzionista, le tecno.illusioni della robotica, la destrutturazione antropologica dell’umano, l’integralismo jiahidista, le nuove persecuzioni religiose, i terrorismi, la corruzione e le nuove povertà, le emergenze criminali delle neo.mafie, le diverse forme di disuguaglianza e neo.razzismo, le tirannie del merito, l’eliminazione fisica degli uomini con avveniristiche e molteplici forme biotecnologiche che imprimono un’accelerazione verso il superamento dell’umano, gli effetti collaterali delle sperimentazioni umane, spesso sottaciute in formule biogiuridiche “civili”, (che richiamano ad esempio il diritto/dovere alla massimizzazione della salute o del diritto di morire o alla morte), le diverse forme di interruzioni volontarie di vita, le varie disposizioni di morte volontaria medicalmente assistita, gli inganni sintetici dell’intelligenza artificiale, le forme di post.truth delle minoranze attive, l’azione feroce e cinica delle lobbies elitarie, l’elaborazione dei big data per influenzare i comportamenti e le idee, le pseudo.ideologie totalitarie in ogni ambito, le dipendenze da sostanze psicotrope, l’epidemia degli oppiodi, le nuove pandemie mondiali, le nuove patologie ad esito infausto, le guerre fratricide brutali e intestine, interne ed esterne, civili e incivili, le nuove forme di sadismo sociale e di adorazioni esplicite di “soluzioni finali”: tutte formule che indicano un tentativo di disarticolazione e di “eliminazione fisica” dell’umano, attraverso il lento declino della civiltà umana e con l’imposizione di nuove crisi o con subdole forme di annientamento e neutralizzazione “definitive”5.

L’aspettativa di vita dell’umano appare breve e la sedazione terminale sembra già attivata. In ogni caso assistiamo ad una corsa verso una narrazione auto.distruttiva dell’uomo in quanto tale, come natural, ma con quale rivelazione, svelamento o manifestazione?

L’obiettivo più o meno dichiarato dell’attacco all’umano è implicitamente o esplicitamente la sua estinzione, la sua inutilità, il suo superamento, il suo annientamento o il suo sleepery slope suicidario. L’Umano sarebbe “scaduto” o avrebbe fallito o come intitola il filosofo David Benatar: Better never to have been: the harm of coming into existence.

B. Alla luce di ciò, qual è a suo avviso il pensatore (pensatrice), o i pensatori (pensatrici), del passato che andrebbero recuperati(e) come maestri o guide per affrontare nel modo più efficace e fecondo il presente che giàpreme e il futuro che incombe

Sono tanti i riferimenti e molteplici possibili agli autori del passato. Ognuno coglie un aspetto, identifica un problema e indica una direzione. Ogni autore scopre qualcosa, nel senso di s.coprire ciò che è coperto: proprio del gesto di “togliere una coperta”, si comprende la fatica di fare qualcosa che nessun altro ha fatto finora e nel cercare laddove nessuno ha cercato.

Per tale motivo l’intera storia della filosofia è storia del dis.velamento del pensiero e dell’intelletto, ma non dobbiamo farci bastare l’astrazione o l’idea o le essenze stesse degli autori, le loro esistenze biografiche, il loro “spirito”, né la loro condizione spazio culturale da cui sono stati influenzati; si deve piuttosto cogliere l’originalità (e in questo senso la follia si manifesta come “stranezza” e “originalità”). Essere originali significa non ripetere, ma trovare dentro di sé quello che solo lui ha e può avere. Il thesaurus interiore che identifica il senso dell’esistente come in.dividuo “unico” al mondo e perciò incommensurabilmente “prezioso”, perché nella storia dell’umanità, di quel tu, ce ne sarà solo uno e irripetibile, diverso da tutto e da tutti.

In questo senso un autore su tutti è Aristotele e il suo libro X dell’Etica Nicomachea a cominciare dalla “fecondità” della piena felicità umana:

Noi pensiamo che il piacere sia strettamente congiunto con la felicità, ma la più piacevole delle attività conformi a virtù è, siamo tutti d’accordo, quella conforme alla sapienza; [25] in ogni caso, si ammette che la filosofia ha in sé piaceri meravigliosi per la loro purezza e stabilità, ed è naturale che la vita di coloro che sanno trascorra in modo più piacevole che non la vita di coloro che ricercano. Quello che si chiama “autosufficienza” si realizzerà al massimo nell’attività contemplativa.

Ecco che la contemplatio aristotelica non ha fini o utilità marginali, è fine a sé stessa. Non ha esteriorità: è un punto concentrato, che non si muove all’esterno da sé. Questa condizione unica, immanente, è dall’altro immediata, reale e verticale. Non ha bisogno di altro; è autosufficiente, rappresenta la reditio più alta dell’autocoscienza riflessiva. Continua Aristotele: «Ma se si toglie, all’essere che vive, l’agire, e ancor più il produrre, che cosa gli rimane se non la contemplazione? Cosicché l’attività di Dio, che eccelle per beatitudine, sarà contemplativa: e, per conseguenza, l’attività umana che le è più affine sarà quella che produce la più grande felicità». La contemplazione felice basta a se stessa, non ha fini esteriori, si compiace della sua perfetta autonomia e armonia: in questo senso è “divina”, perché crea e ha essendo, senza insoddisfazione, senza bisogno e senza mancanza. Una felicità che non delude, infinita ed eterna, “beata”.

Il sapere fine a se stesso, la meditatio mortis, il pensiero pensante e creatore senza necessità, appare ad Aristotele la compiutezza sovra-umana e non troppo umana della felicità terrena, che è certamente metafisica, ma non impossibile, non inaccessibile poiché reale, chiara, luminosa come la vera e autentica sapienza:

L’uomo che è intellettualmente attivo e che coltiva il suo intelletto sembra che si trovi nella migliore delle disposizioni e che sia il più caro agli dèi. Se, infatti, [25] gli dèi si prendono una qualche cura delle cose umane, come comunemente si ritiene, sarà ragionevole pensare anche che essi si compiacciono dell’elemento umano più elevato e ad essi più affine (e questo sarà l’intelletto), e che ricompensano gli uomini che amano e curano l’intelletto più d’ogni cosa, considerando che questi si curano di cose a loro care e agiscono in modo retto e bello. Che tutto questo [30]si ritrovi soprattutto nel sapiente, è chiaro. Questi, dunque, è il più caro agli dèi. Ed è naturale che lo stesso uomo sia anche il più felice: cosicché anche da questa argomentazione risulterà che il sapiente è sommamente felice.

In questo senso la lectio magistralis di Aristotele ci invita a coltivare questo giardino immenso del pensiero senza limiti, imprevedibile e sconfinato, come vera unicità dell’umano che pensa la morte e la post.mortalità, che pensa la reditio della salus animarum, che vuole salvarsi da se stesso, dalla propria tragica inadeguatezza e dal peso della propria condizione sempre insoddisfacente e insufficiente. L’uomo non basta a se stesso, perciò non serve cancellare l’uomo per riproporre un androide o un cyborg postumano. Significa invece spingere l’uomo verso se stesso, verso un transumanar estatico, spingere verso l’alto per vedere dentro l’infinitamente piccolo. Questo il compito indispensabile della filosofia odierna. Questo il dovere dei filosofi contemporanei in un’epoca così complicata (di continua transizione veloce e annichilente), in cui così tante forme di mala tempora currunt. Solo volando altissimo sarà possibile vedere, affrontare e risolvere i problemi politici e biopolitici, con sinergie imprevedibili e originali. Solo con un oltre.passamento spirituale che tra.passi la meschinità e le bassezze divisive (o iperspecialistiche) o di quelle consumistico-corporali o meramente materialistiche, ci si potrà salvare dai continui allarmi distopici o dalla fine delle false e “cattive” utopie.

La grande rigenerazione non potrà che ripartire dall’“ontologia del respiro”, che lega e tiene insieme, che ri-conosce e vuole sapere, che non divide e separa, che non imperat per i piccoli fini transeunti: il destino di questo piccolo homo sacer e della sua antica humanitas immortale, passerà da questo solco.

Note:

Intervista realizzata il 15 settembre 2023.

1. Si introduce l’uso del punto per interconnessione al posto del più diffuso della lineetta/trattino che “unisce uniformando”, perché la ricerca continua di un segno che esprima questo nuovo meta.linguaggio porta ad utilizzare nuovi simboli per espandere i significati e spiegarli meglio: perciò il punto “fermo” ci deve essere per continuamente essere superato e “s.puntato”. In questo senso il punto dal suo etimo pungere e penetra in profondità generando una verticalità semantica: mentre la lineetta appare “orizzontale”, il punto è “verticale”, perché spinge verso il basso creando ap.punto una linea verticale che aiuta nella comprensione di questo nuovo linguaggio “profondo”.

2. Con il significato etimologico di bordo, margine, riva. A sua volta in un’immagine semantica più cruda dell’essere all’osso, anche qui nella sua accezione di osso come nocciolo, pietra dura e solida.

3. L’indagine sull’etimologia del “destino” ci riporta allo stare fermo, “stare fisso”, allo starci, al rimanere, al per.manere. A questo destino eterno che non passa, che “non si cancella”, non sparisce, non si nullifica: a questa ri.manenza ci riferiamo con questa espressione che costituisce un segnale di una direzione limpida, precisa chiara e corretta.

4. Si vedano “i dopo Dio” di Peter Sloterdijk (Dopo Dio, Raffaello Cortina editore, Milano 2018) e di Hugo Tristram Engelhardt (Dopo Dio. Morale e bioetica in un mondo laico, Claudiana, Torino 2014).

5. Per la comprensione della dimensione attuale (e irrazionale) della “confusione”, interessante l’etimo del confondere dal latino cum.fundere, liquefare, mescolare, sciogliere, rompere, disordinare, sbaragliare, ruinare. Esattamente la condizione nella quale ci troviamo, da associare all’altro termine del cháos come vuoto e immensità, propriamente fenditura, voragine, abisso, derivato a sua volta dal verbo khaíno, aprirsi e spalancarsi. Nel caos della confusione sembra cadere o stracciarsi il velo di Maya in cui tutte le menzogne o ipocrisie sociali cadono e “tutto si apre e tutti possono vedere” poiché “tutti i libri saranno aperti e rivelati”, in questa nuova dimensione catafatica.

6. Esattamente ciò che manca ad una certa ricerca scientifica riduttivamente intesa che rimane chiusa nel proprio schema o sistema.

7. Notevole l’etimologia a cui rimanda il termine del deserto da deserere, “abbandonare”, composto dalla desinenza de e dal verbo serere, “connettere”. Letteralmente abbandonarsi al “vuoto” del deserto (come lasciarsi nell’abban.dono) significherebbe allora che non ci siamo scelti nell’esistenza e in questa pre.condizione assoluta, siamo qui non “per brancolare nel buio” dell’insignificanza o per soddisfare solo i nostri meri bisogni materiali e i nostri consumi inutili o le nostre brevi e piccole aspirazioni o le nostre mute ambizioni particulari: siamo qui per “trovare pienezza nella inter-connessioni vuote”, un completo e dinamico equilibrio con qualcuno, per “essere” qualcosa di più, di “meglio” (per trascorrere le 20 o 30 estati/autunni/inverni/primavere che ci rimangono), a “testimoniare la Presenza”, per “migliorare il mondo”, imparare, conoscere, s.velare, partecipare, avere un ruolo, ad.giungere, portare qualcosa, pro.creare, guadagnare un passo, faticare, lasciare qualcosa a qualcuno, lasciare un segno del passaggio.

8. Poiché dopo la notte (come ci ricorda l’etimo di infernus, che si trova “in basso”), arriverà il giorno (di stare nello Überwindung), dopo la lotta alla povertà, dopo le presunte crisi irreversibili e le bolle economiche sgonfiate, dopo la crisi dei debiti sovrani insoluti, dopo l’existential risk e il global catastrophic risk (ricompresi anche in una possibile catastrofe conseguente ad un conflitto nucleare), apparirà un nuovo orizzonte dell’umano, una nuova era che non sarà più l’antropocene iper.produttivo e materialista, ma un’evoluzione dell’umanità consapevole. Vivremo in uno stato di coscienza e consapevolezza superiori: più consapevoli innanzitutto di chi siamo come esseri mortali e di come vivremo nell’essersi della “condizione post.mortale”: una ricerca nuova, tutta filosoficamente da scoprire. D’altronde i veri filosofi sono da sempre dei “moribondi”, poiché di niente altro si curano se non di pensare la finitudine mortale e post.mortale, con una continua reditio dell’autocoscienza riflessiva.

Incontra il candidato

Francesco Zini candidato sindaco di Firenze
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